A volte, nel nostro Mondo anestetizzato, manca l’enzima in grado di farci assimilare la coscienza di chi non vive come noi.
C’è un’enorme distanza tra ciò che senti dire e ciò che senti, e finisci per annichilire quest’ultimo aspetto così ti permetti il lusso di non pensare.
Una volta ero a Stalingrado, sono arrivato presto la mattina con il mio zaino pesantissimo (la Mucca) e 18 ore da non sprecare.
C’è una catena di hotel, il Cosmos, in cui sono entrato con una storiella e il cappello in mano a chiedere se mi tenessero la mucca. Un sorriso e una targhetta, proprio come si deve fare con una mucca.
Schiena leggera, saluto il Volga e gli innumerevoli ricordi di quei giorni.
La Madre Patria Chiama: la Vittoria fatta statua con la spada alzata, alla sua ombra una caterva di nomi impossibili da enumerare. Mi viene in mente che, durante questi anni di viaggio in tutti i Paesi ex sovietici, alle steli della Seconda Guerra Mondiale (’41-’45 da queste parti) si accostauna sfilza di nomi incredibilmente più lunga che agli stessi in Occidente.
Anche nel più remoto villaggio del Tajikistan.

La Casa di Peskov, i relitti dei carri armati, navi e aerei da combattimento lasciati sul posto e fatti reliquia.
Sarà un altro racconto, non è di questo che voglio parlare oggi.
Mi imbarco sulla bara d’acciaio 18 ore dopo: terza classe. Tra tutte quelle provate, decisamente dignitosa in Russia. Sono lettini strettissimi senza paratoie, 54 per ogni vagone. L’autorità si premura di darti le lenzuola – a prezzo ridotto – per questioni di igiene e benessere pubblico.

Sono diretto a Kazan, e mi ci vorranno 24 ore.. perché nell’ex unione sovietica il treno viaggia molto lento, e si ferma in tutte le stazioni che incontra.
A me piace chiacchierare, ancor più perché so poco la lingua, e mi piace sentire ciò che ha da dirti uno che non crede tu capisca.
Porto avanti questo gioco da anni, ma la carrozza oggi è particolarmente piena di soldati. Di ritorno dal fronte o dalla leva militare (questi ultimi affatto coinvolti nei combattimenti). Ci sono stampelle, pappagalli, grandi valigie e tante giacche camouflage.
Nei 3 letti sopra dormono dei diciottenni della Repubblica di Tuva (sopra la Mongolia). Fanno il periodo di leva, e il governo concede loro 15 giorni di pausa ogni tanto e dei biglietti terza classe. Ne impiegano 5 all’andata e 5 al ritorno per andare a salutare la mamma. Per quanto
confortevole, non auguro a nessuno 5 giorni in terza classe su un treno russo, eppure loro ridono e scherzano: non vedono l’ora di abbracciare i fratellini.
La famiglia è ciò di più importante che hanno, e nemmeno le autorità militari sognano sostituirsi a questo nelle loro menti.
Il governo offre biglietti di terza classe anche ai feriti al fronte, in congedo permanente, per la direzione che preferiscono. Sono persuaso che anche stampelle e pappagalli siano offerti.
Dormo in basso, è stata una fortuna per me trovare questo biglietto. Di fronte a me dorme un giovanissimo caporale, che ha avuto la sfortuna di finir di fronte al suo sergente.
I due in realtà sono in sintonia, date le botte ricevute, ed hanno una grande voglia di chiacchierare.
Mai capitato di trovarsi uno straniero di fianco,soprattutto in quel frangente… Io dormicchio, sono più sporco di loro, ma non ci va molto ad attaccar bottone.
Sui treni russi è vietatissimo bere alcolici, ma se ti sei fatto azzoppare per la Patria questa dovrà pur chiudere un occhio su qualcosa!
Sembra valerne la pena, e alla prima stazione decente il caporale se ne torna con una decina di litri di birra sottobraccio.
C’è risentimento per questi vicini occidentali che non ci vogliono capire.. ma tu sei diverso! Sei qui, con noi in terza classe, evidentemente in fuga da un Paese che hai capito non valerne la pena!
Chissà cosa mi dice questo caporale; ne annuso l’importanza quando vedo il sergente indispettirsi e cercare di zittirlo, per poi sedersi e partecipare alla conversazione. Con gusto e per divertimento, di certo, ma anche per non farsi scappare nemmeno una frase.
Confesso, avrei davvero voluto capirci di più. C’è tuttavia il vantaggio – nello stare mesi senza capire una parola di chi hai attorno - di sviluppare una certa sintonia con i gesti dei corpi, delle bocche, con gli occhi e le sensazioni che ne trasudano.
C’era fierezza nel raccontarmi che tanti occidentali si uniscono alla Giusta Lotta perché stufi delle ipocrisie dei loro Paesi, e nel pensare che questi fossero buttati al cannone come carne da macello, per risparmiare il prezioso sangue russo troppe volte versato ingiustamente.
C’era orgoglio nel tornare dalla mamma sfregiato, onorevole nel non essersi tirato indietro, meritevole del congedo permanente che si concede agli eroi.
Arriverò in una Kazan blindata per il convegno BRICS 2024, ubriaco. Ho cercato e ottenuto molti inviti su Couchsurfing, tutti ritirati dopo aver visto la burocrazia da affrontare per ospitare un cittadino di un Paese ostile nei giorni della convention.

All’ostello, anch’esso pieno di passati o futuri combattenti, mi faranno un alcool test per verificare che io sia un cliente idoneo. Naturalmente, non lo sono. Sono calmo, e dopo una buona ora questo li convincerà a darmi una doccia e un materasso. Dormo per terra insieme a un padre che si è arruolato per non lasciar solo il proprio figliolo, titolare di una decisione azzardata per guadagnare qualche soldino.
Sui muri del Kremlino di Kazan si proiettano parole in tante lingue, di cui solo una scritta in alfabeto latino.
“Bem-Vindo” mi dice il muro, e io ripenso a quanto è cambiata la Russia da quando camminavo sulle montagne del Daghestan.